Santhia - Vercelli (VF) 26/1/14

Santhia - Vercelli km 25,7

26 gennaio  2014    sulla via Francigena da Santhià a Vercelli


Camminata della compagnia ( dei passi leggeri? del buon cammino? dei viandantes? delle strade non di sole lucciole?   Ancora non si sa, quel che è certo è che la compagnia c’è e non è niente male).

Il paesaggio è quello classico della bassa pianura, non è il mio preferito, ma la giornata è talmente bella c’è  quasi un sapore di primavera nell’aria  ( ma forse è solo un’illusione ) soprattutto quello che mi allarga il cuore è vedere le montagne innevate che praticamente ci accompagnano per tutta la camminata, da quando lasciamo la stazione di Santhià e ci inoltriamo nelle terre del riso fin quasi alle porte di Vercelli.

Non ci facciamo mancare neanche una chiacchierata in tema, così alla prima cascina due note su riso e affini ( tempi di semina, raccolta, allagamento risaie, riso selvatico, riso Venere) manca  solo un bel piatto di panissa per concludere questo excursus, ma ahimè è ancora troppo presto   e allora il cammin riprende..

Cascine, campi, terreni  di colore diverso, anche 'pacioc', il fango che ti invita a scivolare più o meno elegantemente  e spicchi di 'mare a quadretti' ( le risaie allegate con il riso selvatico per ingannare le erbe infestanti?).

Ora però arriva la sosta pranzo : santa Maria del Cammino ci aspetta  al lato della strada; è una chiesettina 'piccola così' bianca e gialla, è  rassicurante, il sole la illumina e la sua parete sud non è niente male, ci si appoggia volentieri. Come capita in queste ( e altre)  occasioni condividiamo pan e focaccia, castagne light e cioccolatini alla grappa pazza, torta al cioccolato e gorgonzola alle noci  solamente le mie barrette non vanno a ruba, come mai?

Zaino in spalla si riparte, il sole non ci molla e noi neanche, la pausa caffè presso il ristorante Caval d’oro qualcuno di noi non se lo perde, qualcun altro si accontenta della pausa bagno, ma fa in tempo a notare che qui si cucina la panissa vercellese, il fritto misto alla piemontese, bene a sapersi, potrebbe tornar comodo, non si sa mai.

Attraversiamo un piccolo borgo, quattro casolari, un’azienda agricola vecchio stile, una torre cilindrica ( o forse no? ) che ospita sulla cupola una colonia di colombi un po’pazzoidi, uno si alza in volo e tutti lo  seguono,  da un tetto all’altro,  andata e ritorno per un bel po’ di volte, contenti loro l’importante è che non volino basso e non si azzardino ad avvicinarsi ( della serie piccion, pussa via ci ho la fobia).

Salutiamo un autoctono che ci guarda un po’ perplesso e continuiamo, costeggiamo una roggia, giriamo attorno ad un stagno, ormai si vede  S. Andrea fotografie del Sant'Andrea di Vercelli - basilica in lontananza, sembra piuttosto vicino, ma dobbiamo zigzagare, manca però proprio poco.

Eccoci in città, la campagna è alle spalle, siamo nei pressi di un campetto da calcio con tanto di partita in corso e ci avviamo verso il centro, il sole ci ha lasciato, ma la sua compagnia l’abbiam goduta fino all’ultimo e il nostro passo è sempre spedito, anche se siamo in perfetta media oraria.

 Ci troviamo di fronte il piazzale del Duomo, la targa sulla facciata del palazzo sull’angolo cita un breve passo della Divina Commedia del buon vecchio padre Dante se troppa simiglianza non m’inganna/rimembriti di Pier da Medicina,/se mai torni a veder lo dolce piano/che da Vercelli a Marcabò dichina. mai sentiti prima questi versi e che ti scopro ? Che non si sa con certezza chi sia ‘sto Pier da Medicina, forse  un seminator di scandalo  tra i cittadini bolognesi e tra i tiranni di Romagna che Dante ha sistemato nell’Inferno tra i seminatori di discordie e di scismi, sottoposti a una pena niente male: mutilati da un diavolo con ferite che si rimarginano subito così come in vita riuscirono a separare gli altri e a scindere i gruppi e le famiglie.  Ma il nostro gruppo non si scinde, ed entriamo nella basilica per il timbro delle credenziali, dopo una breve sosta al chiostro  che merita, come del resto tutto il complesso architettonico, una visita più approfondita come tutti i chiostri dà un senso di pace ed è bello osservarlo, ho letto che, anche se rimaneggiato è quello che resta degli antichi locali del monastero e ora scopiazzo alla grande. 'Una ristrutturazione del chiostro è intervenuta nel corso del XVI secolo ed ha interessato la copertura dei corridoi che originariamente dovevano presentare un tetto spiovente sorretto da capriate in legno; in tale occasione si decise di riutilizzare le colonnine dell’antico chiostro. La struttura del nuovo chiostro realizzata nel XVI secolo è quella oggi si connota per la presenza di archi a tutto sesto e di volte a crociera sostenute dalle originarie colonnine, disposte a gruppi di quattro che poggiano su una sola base. I capitelli sono a crochet, in coerenza con una scelta stilistica unitaria che interessa anche tutte le colonnine che decorano l’esterno della basilica. Negli intradossi degli archi sono presenti i resti di motivi decorativi affrescati, di tipo geometrico ed a grottesca. Risalgono al XVI secolo anche le cornici in cotto che sottolineano piacevolmente gli archi che si aprono sull’ampio cortile con il pozzo.'

E che dire della basilica?   Anche questa è bella a vedersi, è armoniosa nella struttura, non per niente è citata nei test di storia dell’arte come uno dei più significativi esempi di gotico primitivo in Italia, dove elementi del gotico francese si sovrappongono a stilemi tipicamente italiani senza che i primi riescano a snaturare significativamente i secondi  ( Che siano gli stilemi, lascio ad altri la gioia di scoprirlo). 

Nella sacrestia, dove timbriamo, abbiamo giusto il tempo di ascoltare un sacerdote che guida un gruppo di visitatori e, già che ci siamo, lo sfruttiamo, ci fa notare il  crocifisso del XIII o XIV secolo ( non ricordo più ), il Cristo è quanto mai moderno e il suo volto comunica proprio la dimensione del dolore ( supera in effetti le barriere del tempo, credo).

Girolando qua e là sul web  trovo che Corre l’anno 1219 quando a Vercelli giungono da lontano i maestri muratori che devono erigere la basilica. Sono stati chiamati da Guala Bicchieri, il più straordinario vercellese di tutto il Medioevo. Essi posseggono una sapienza costruttiva di nuova bellezza e soprattutto conoscono i segreti di una tecnica raffinata, capace di risolvere problemi di statica in Italia  ancora poco noti; conoscono infatti il nuovo linguaggio architettonico formatosi da poco nel nord della Francia e che sarà poi destinato a diffondersi in tutta Europa. Così possono erigere un tempio che è il nobile prodotto di un fertile incontro fra tradizione romanico lombarda e innovazione gotica.

Chi sono questi costruttori? Chi è il progettista?  Gli studiosi hanno compiuto studi e ricerche defatiganti per conoscerli; ma, non avendoli scoperti, hanno formulato solo ipotesi, che tali rimangono. In realtà il mistero dei costruttori resta intatto. Come quasi tutti i maestri muratori che in quel tempo costruivano in Europa cattedrali e templi, anche i costruttori della basilica vercellese vollero rimanere anonimi. Conosciamo la loro opera, non i loro nomi

Chissà se vollero restare anonimi o non poterono lasciare traccia dei loro nomi?...

In chiusura scopro che sant’Andrea racchiude altri misteri Forse l’enigma che più incuriosisce e spinge alla ricerca è un disegno inciso con cura sotto una mensola esterna in diretta corrispondenza con la raffigurazione di un volto; il disegno infatti non è posto al centro della superficie della pietra su cui venne inciso, ma in perfetta verticale sotto il volto soprastante, stabilendo così un chiaro legame fra il volto e il disegno. E’ molto probabile che il disegno rappresenti lo stemma del personaggio raffigurato e ciò potrebbe essere un elemento decisivo per scoprire chi sia o almeno a quale famiglia appartenga.
In attesa della prossima tappa
Annina

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Bella giornata, bella la combriccola, eravamo in undici. Giunti in auto a Santhia ci ha accolti Mario che, con altri amici, si prende cura dell'ostello della via Francigena della cittadina. Con grande cortesia ci ha apposto il timbro sulle Credenziali, ci ha presentato il parroco del Duomo, ci ha accompagnato per un buon tratto fino a farci incontrare il presidente degli agricoltori col quale abbiamo fatto una interessante chiacchierata sulla coltivazione del riso. Insomma, noi che non siamo (per ora) nessuno abbiamo provato la sensazione di essere attesi, come se la fama ci precedesse :-).
E poi avanti a zonzo tra le risaie piatte e grigie in questa stagione. 
A San Germano l'appetito ci impone una sosta, all'aperto, ma almeno c'è posto a sedere. C'è il sole ma fa freddino...  si riparte, un tratto lungo la statale, poi di nuovo tra le risaie dove per tre o quattro km il sentiero dritto fiancheggia la ferrovia, arriviamo alla solitaria chiesetta di Santa Maria dove ci fermiamo per il pranzo. Più avanti ancora attraversiamo il piccolo borgo di Montonero dove un bel volo di colombi dà dimostrazione di come si vola in formazione. 
C'è una locanda aperta, ci concediamo un caffè e si riparte. Ancora un po' di vagabondaggi tra le risaie che ora sono meglio con la luce del sole basso.
Arriviamo a Vercelli in perfetto orario, entriamo nella chiesa di Sant'Andrea, che merita certo una visita più accurata,  per il timbro delle Credenziali e poi via alla Stazione. Riusciamo a prendere il treno delle 17.15 (con biglietto cumulativo e relativo sconto) che ci riporta a Santhia, poi in auto si va a casa. 

Non si può negare che, specie d'inverno, le risaie sono proprio un deserto. Non un albero, non un cespuglio, neanche un'erba in piedi, neppure le infestanti e le piante aliene ! Alberto fa notare che camminando in questa pianura, a differenza delle zone collinari o di montagna, non si ha la sensazione delle distanze ( che non è cosa da poco quando hai il treno alle 17.30 e non sai dove sei :-). Dev'essere l'assenza di riferimenti visivi, l'orizzonte è sempre uguale, sempre lontano, né le ore passate danno la sensazione dei km fatti, salvo conteggiarle scientemente.
Animali pochissimi, tre o quattro aironi bianchi (Ardea alba) molto sospettosi si alzano in volo già a cento metri da noi, mancano tutti gli altri uccelli di palude, Aironi cenerini, nitticore, egrette, e neanche un'anatra. C'è solo la carcassa di una nutria vittima della strada. Interessanti invece le cozze di lago (vedi foto) che si incontrano sul sentiero mangiate dagli aironi; Luciano e Alberto si stanno ancora chiedendo "ma dove lo prendono il limone e il bicchierino di bianco?". L'appetito mette buonumore, e viceversa.   
Gianni






Piazza di San Germano
A San Germano facciamo il primo spuntino approfittando dei tavoli all'aperto di una tavola calda, che oggi calda non è.



Santa Maria





Entrando in Montonero





Spesso sulla strada fra le risaie si trovavano queste "cozze di lago" ( Anodonta Cygnea ),
gli aironi bianchi ed altri trampolieri le pescano nelle grandi rogge che scorrono vicine e le portano sullo stradino per aprirle e mangiarsele con calma. 


Davanti a S. Andrea a Vercelli



Airone bianco, foto di repertorio. (Ardea alba) 


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